lunedì 5 settembre 2011

Cycling in Madagascar


Guarda la galleria fotografica © Gianfranco Lombardi






Madagascar.
Siamo seduti a terra con le cartine sparpagliate lungo tutta la casa.
I miei compagni di viaggio indicano un lembo di terra nel nord est dell'isola. "Secondo me quella parte in bici non si può fare" dico. "Il terreno é fangoso e sabbioso e ci sono troppi fiumi da attraversare." Gli altri invece dicono che si può fare. Io replico: "si potrebbe fare, ma sarà un massacro."
Andiamo alle votazioni. 3 si un no (il mio) un astenuto (era in bagno a fare pipì)
Deciso, si fa.

Siamo ad Anthala, una piccolissima città all'inizio della penisola di Masola, nel nord est del Madagascar, la cosiddetta costa della vaniglia e dei Pirati.

Scaricati i bagagli, all'appello manca una bici. Il tizio dell'aeroporto ci guarda e ci dice: "La bici arriva giovedì, in questo aereo non ci entrava." Noi urliamo come scimmie impazzite che è lunedì e che dobbiamo partire subito altrimenti non riusciremo a prendere l'aereo di ritorno per l'Italia. Lui ci guarda e con un sorriso sdentato dice: La bici arriva giovedì. Il tempo in Africa ha un valore diverso.
Il piccolo aeroporto si svuota e le mucche e le galline riprendono a passeggiare spensierate sulla pista di atterraggio.

Gerard, la nostra guida, si fa prestare una bella bici africana con tanto di portapacchi fatto con barre di ferro saldate. Si parte.

Si inizia con tranquillità, una pedalata agile e un buonumore di quello che ti senti leggero.
La sera ci fermiamo in dei bungalow in mezzo alla foresta, ci mettiamo a tavola, dei ragazzi suonano una chitarra fatta con un pezzo di legno e dei fili di nilon, tutti e cinque cantano una canzone africana, qualcuno da il tempo battendo sul tavolo. Per cena aragosta e del buon pesce. Un buonissimo liquore alla vaniglia ci da la buonanotte.

Fa un caldo tremendo, ci saranno 40° all'ombra. Meno male che io sono sotto il sole.
Il terreno é diventato sabbioso e si procede a passo d'uomo zoppo. Ogni tanto da una curva salta fuori una baia stupenda, di quelle che ti viene di sdraiarti e non spostarti neanche a martellate.
Tutte le volte che possiamo ci spogliamo e ci buttiamo in acqua, facciamo una nuotatina stando attenti agli squali e ripartiamo. Il sale marino e il sudore formano una simpatica miscela che irrita e scartavetra la pelle. Ottimo per le irritazioni. Per farle venire intendo. Il caldo tremendo è intervallato da piogge tropicali di quelle che ti arrivano secchiate d'acqua per mezz'ora e poi ritorna tutto come prima. In pratica tra il sudore e la pioggia si sta sempre bagnati. Ci sono diversi fiumi da attraversare in piroga, questo ci rallenta molto, ma siamo in Africa, qui tutto scorre "M'ora M'ora" piano piano. Questa è la filosofia di un intero continente, piano piano e con il sorriso aggiungerei io. Qualcosa che noi occidentali abbiamo dimenticato. Il valore della lentezza. Il valore del sorriso. Una volta in un film ho sentito che il segreto della felicità sta nella lentezza. A guardarli mi sembrano sereni.
La sera odore di legna bruciata e candele dentro le capanne.


Abbiamo percorso 150 chilometri e dopo un breve trasferimento in barca siamo arrivati nel parco di Tampolo dove un simpatico francese ci accoglie nei suoi puliti e confortevoli bungalow. Da lì parte un trekking dentro la foresta pluviale, un mondo fatto di suoni e odori meravigliosi e da un'umidità da sauna turca. Basta fare pochi passi all'interno per avere la sensazione di avere una coperta bagnata sulle spalle. Ma é un mondo a parte. Uccelli, insetti, e animali vari suonano una sinfonia perfetta, che ti accompagna e che ti viene di fare yoga sotto un albero. Effettivamente il mondo è stato creato con la colonna sonora.
E i profumi. è come respirare dentro una bottiglia di bagnoschiuma fragranza Bouquet Tropicale, fantastico. Dopo poco riusciamo a vedere i lemuri, stanno in cima a grossi alberi e si fanno i fatti propri. Durante la camminata incontriamo anche un geco perfettamente mimetizzato sul tronco di un albero, dei camaleonti di diverse specie, uccelli e insetti dalle forme curiosissime, una rana nana, o almeno così ci dice la guida, e per un attimo sono stato fermamente convinto di vedere tra gli alberi il fantomatico leone del Madagascar, poi purtroppo ho scoperto che era solo il nostro compagno di viaggio Ciccio detto "il Peloso" in preda a smottamenti intestinali. La sera rifacciamo un altro trekking nella foresta ed è pazzesco vedere come i suoni, gli odori e gli animali siano completamente diversi dal mattino. La natura ha organizzato i turni per tenere coperto il servizio. Dicono ci sia la cosiddetta "ora blu", un momento di silenzio all'imbrunire quando si può vedere una striscia blu all'orizzonte, quando gli animali diurni vanno a dormire e quelli notturni non hanno ancora timbrato il cartellino. Tutto si ferma per un attimo e di colpo tutti insieme ripartono.


Dopo un altro emozionante trekking nell'isola di Nosi Manga Be arriviamo in barca a Marantonsetra, lì salutiamo le nostre guide Gerard e Pascal e continuiamo da soli verso sud, in direzione di Tomasina.
Qui il terreno é molto sabbioso, i villaggi sorgono proprio sulla sabbia, la loro economia é basata principalmente sulla pesca e sul commercio della vaniglia.

Dopo due giorni partiamo da Mananabolosa, un triste villaggio che vuole a tutti costi fare la città, pochi chilometri dopo siamo a Mananara dove ci sediamo in una locanda e per colazione ordiniamo:
Pane, burro e marmellata, omelette, pesce fritto, patatine, papaia, banane e ananas flambé il tutto annaffiato dalla famosa birra Three Horses. Un caffè e siamo pronti per ripartire. Il tipo del bar ha la faccia sconvolta, sembra non abbia mai visto mangiare così tanto e così male in vita sua.

Si riparte sotto un sole da farsi alla brace con la pancia che scoppia. Dopo poco iniziano le salite, un sali e scendi con una pendenza che ti sembra di cappottare all'indietro.

é sera e siamo accampati in un posto da sogno. Una baia deserta, con la vista dei fuochi del villaggio in lontananza.
Il capo villaggio ci viene a trovare e si siede accanto a noi vicino al fuoco. A gesti e in un francese traballante ci raccomanda di non mettere le tende sotto le palme da cocco perché se di notte te ne casca una sulla tenda muori nel sonno.

Purtroppo due dei nostri compagni di viaggio hanno problemi di stomaco, un po' di febbre e vomito. Diciamo che il terreno attorno alle nostre tende è un campo minato. Meglio non andare in giro scalzi.

Due di noi oggi non potranno pedalare.
Il capo villaggio ci aiuta a farci salire su un taxi brousse, un fuoristrada carico di persone, cose, galline, maiali.
Un viaggio psichedelico di 24 ore per percorrere 64km.

Arrivati in condizioni pessime a Ivongo prendiamo una sorta di aliscafo per l'isola di Sainte Marie, qui nel 1800 i pirati hanno creato "l'Utopic Republic of Pirates", ma dopo poco tempo furono messi KO da febbri e malattie tropicali di vario genere.

Siamo ospiti di Libertalia un confortevole complesso di bungalow, anzi per i miei gusti anche troppo lusso.
Appena arrivati ci scoliamo un paio di drink alcolici a base di cocco e vaniglia. è ora di pranzo e siamo già allegri.


Al mattino partiamo per il giro dell'isola, una piacevole pedalata di 54km (vedi tu marco) ottima per riprendersi dalla stanchezza dei giorni precedenti.
Ci fermiamo a fare il bagno in una baia da sogno, dove possiamo sdraiarci sotto un caldo sole, svuotare la mente e la vescica.

Nella parte centrale dell'isola incontro dei bambini che giocano disegnando sul terreno con un pezzo di legno, mi fermo a salutarli e incominciano a tracciare la silouette della mia ombra. Quando hanno finito hanno fatto un disegno bellissimo, un Bazah (uomo bianco) in bicicletta, mi viene da prendere questo pezzo di terra e portarlo a casa.
L'accoglienza di questa gente riscalda il cuore, i bambini salutano e ti danno gioia senza chiedere niente in cambio.
I vecchi davanti le capanne guardano divertiti la nostra piccola carovana che attraversa i villaggi alzando la polvere e l'umore.

Siamo al porto, stiamo per salire sulla barca che ci riporta a Ivongo. è l'alba, l'acqua e piatta, l'aria è immobile. Qualche cane già stanco cerca un posto al riparo prima che il sole incominci a tirare legnate.
Qualcuno al baretto beve un succo di pomodoro corretto con alcol che a vederlo non so come non ho vomitato.
Il motore ha qualche problemino. In cinque o sei smanettano, smontano pezzi, qualcuno tira qualche cazzotto agli ingranaggi. Dopo mezz'ora di sudore e parolacce in malgascio sembra tutto si sia sistemato.

80km d'asfalto volano via in un soffio e siamo a Mahambo.
Ancora con i caschi arriviamo in bici fino quasi a toccare il mare, ci spogliamo e via con l'ultimo tuffo nell'oceano indiano. Il sapore amaro della via di ritorno si fa sentire.

Anche questo viaggio è concluso e saluto questo fantastico continente con le parole di un mio amico africano che vive in Italia: " Per vivere in Africa devi essere un guerriero nella vita. Un africano vive felice dovunque, vive con poco, vive senza paure. Da noi i bambini giocano insieme e non stanno davanti alla televisione o davanti al computer, gli amici fanno parte della famiglia come fratelli di sangue, la parola vale più di un contratto, le persone anziane sono fonte di saggezza e non vengono chiuse nelle case di riposo, tutto quello che si cerca è il necessario per vivere, il resto è superfluo."

Abbiamo molto da imparare dall'Africa.

Fabio Consoli.

Queste sono le pagine estratte dal Moleskine di viaggio


Cycling in Madagascar - Sonerana Ivongo

A questo punto del viaggio la maggior parte dei partecipanti si dirige verso il crollo totale.
I più fortunati presentano sono qualche lieve forma di cacarella del viaggiatore, altri la accompagnano con febbre e vomito.
Solo qualcuno sfoggia una dermatite integrale.
Lo qui presente scrivente, ha anche un buco nel piede e un alluce gonfio come un melograno. Saltando un fiumiciattolo scalzo sono atterato su un legno appuntito. Aspettiamo in un "bar" nel villaggio di Ivongo, punto di ritrovo dei viaggiatori che vogliono dirigersi verso l'Isola di Saint Marie.
Ci aspettano un paio di giorni di relax, culo ammollo e caffè senza formiche nello zucchero.

L'umore ha un impennata a candela di quelle che ti striscia la targa a terra. Tra i mormorii di sollievo a qualcuno scappa " giuro che bicicletta non ne tocco più.."

Solo adesso ho la forza di tirare fuori il mio moleskine e fare il primo disegno.

P.s. Ragazzi lo posso pubblicare?




Cycling in Madagascar - Isola si Noisi Manga Be
A questo punto del viaggio i partecipanti stanno oziando e si stanno ingozzando peggio che ad un villaggio Valtur.
Se vogliamo mettere le cose in ordine temporale tutto questo viene prima delle fatiche immonde. O per lo meno ci siamo lasciati i temporali tropicali della penisola di Masola alle spalle, ma ancora non sappiamo bene cosa ci aspetta. Abbiamo appena lasciato un parco con una foresta primaria, siamo stati ospiti di un francese al quale abbiamo ripulito tutte le scorte di cibo.

é sera, siamo a tavola, abbiamo mangiato quanto uno Zebù. La tipa dei Bunga Bungalow ci dice di pagare, spegne la luce elettrica e ci lascia a lume di candela.
Continuiamo per un pezzo a bere e sparare ca****te. Il peloso é gasatissimo. Ubriaco come un lemure propone di fare un giro nella foresta in notturna. Io passo e dico buonanotte. Sicuro di non rivederli mai più chiedo se per caso mi lasciassero in eredità le biciclette e una borsa posteriore che la mia prende acqua.


Siamo Appena arrivati nell'isola di Noisi Manga Be
Un lemure che da tempo ha perso la visione stereoscopia ci accoglie a scacazzate. Si mette uu un ramo e sgancia escrementi. Poi finito il materiale solido incomincia a fare pipì come benigni nel piccolo diavolo. Sull'isola andiamo a vedere le tombe degli uomini illustri di Maratonsetra. Questo é un luogo sacro e vietatissimo toccare le tombe, ovviamente uno di noi ci stava finendo proprio sopra.

Ci siamo fatti simpaticamente rapinare 1200€ per un trasporto in barca di 5 ore. Se al capitano gli sono arrivate solo un terzo delle maledizioni che gli ho tirato a quest'ora dovrebbe essere affondato già da un pezzo.



Cycling in Madagascar - Isola di San Marie. L'isola dei Pirati.

Nei tempi passati quest'isola fu il punto di ritrovo di tutti i pirati che lavoravano come saccheggiatori nell'oceano indiano.
Qui soggiornarono i Pirati più pericolosi di tutti i cinque mari, "I Pirati nde Renti", Forse secondi solo ai loro temutissimi rivali che si aggiravano nelle acque più basse, I Pirati nde Baddi. (sorry Sicilians only)

Questa tranquilla Isola si trova ad un'ora di vomito sul motoscafo che parte da Ivongo. Qui I Pirati formarono "L'Utopic Republic of Pirates", . Una repubblica basata sulla frode, dove i criminali non potevano essere giudicati dalla legge, dove i vecchi marinai facevano bei festini di bunga bunga con le giovani donne del posto. Insomma mi sono sentito a casa..
Purtroppo per loro però furono presto sterminati da febbri tropicali e malattie strane varie e dopo un referendum furono definitivamente presi a calci in culo.

Se riuscite a non rompervi l'osso del collo potrete visitare il Cimitero dei pirati. Bisogna attraversare una specie di laguna fatta di pietre scivolosissime, uno di noi si é fatto dei bei taglietti sul piede, io arrivato quasi alla fine della laguna mi sono rotto le balle e sono tornato indietro. Si, si, proprio come nella barzelletta del pazzo che all'ultimo cancello torna indietro.

Seduto su un tavolino al tramonto, le palme nere su un cielo psichedelico, il rumore delle tranquille onde dell'oceano indiano, uccelli che fischiettano e una cazzo di musica chill Out di sottofondo. Il proprietario del posto é un colonialista tutto fighetto vestito che pare scappato da un campo da golf. Mi chiedo dove ha lasciato le mazze, che gliene darei due colpi sul cranio quanto é antipatico.

Una birra three Horses e disegno tranquillo. Le ragazze del bar mi vedono chino sul tavolo e curiose si avvicinano: Tu artista! disegnatore! - Tu fare disegno nel guest book! - Dico: dopo, dopo. E poi io non fare disegni di tramonti o paesaggi. Io disegnare tutto strano. - No preoccupa! tu fare lo stesso!

Da quel momento in poi tutte le sante volte che passo da li mi chiedono la stessa cosa.
Dopo che mi hanno tritato i maroni e schiacciati ad humberger per tre giorni, l'ultima sera sono costretto a fare questo disegno sul libro.





Cycling in Madagascar - Taxi Brousse
I nostri eroi stanno avendo qualche piccolo problemino.
Due dei componenti della spedizione stanno esibendo l'intero catalogo di malattie tropicale disponibile sul mercato.
Non sto qui a dirvi i dettagli, anche perché l'argomento fa cacare proprio.

Mi sveglio al mattino apro la tenda e mi sembra di stare in quel film degli anni ottanta, dove c'è quella canzone che fa " I love you in paradise" dove c'è la scimmia che si fa le pippe tutto il tempo, come si chiama?

é l'alba, il mare é piatto come un asse da stiro, un profumo di bouche tropicale arriva dagli alberi. Il rumore delle cerniere delle tende che si aprono.
Due di non noi hanno passato una brutta notte, non possono pedalare.
Il più pratico di tutti noi in uno slancio di generosità propone di farli fuori per non farli soffrire e per non rallentarci. Il problema sarebbe cosa fare dei corpi. Si arriva a pensare di schiacciarli con il rullo compressore dell'asfalto e procedere al rimpatrio della salma via fax, ma é praticamente impossibile perché nella foresta non c'è asfalto e quindi niente rullo compressore. Andiamo a chiedere consiglio al capo villaggio, che sta distribuendo gli attrezzi di lavoro agli abitanti. Lui é l'unico che parla un pò di francese o per lo meno riesce a spiccare qualche frase inserendo ogni due sillabe la richiesta di un "cadò" (regalo). Vuole un cadò per ogni cosa. Dice che da li stamattina passa il taxi brousse, cadò, che lui può chiedere se c'è posto, an cadò si vu ple, che potrebbe pensarci luli, cadò cadò. Se non la smette co sti cadò gli tolgo la pala dalle mani e gliela spacco ii testa.

Senza rimorso alcuno abbandoniamo i nostri amici al loro destino e ci mettiamo in bici.
Se non li mangiano prima gli avvoltoi in mattinata saranno caricati sul famigerato e tanto temuto taxi brousse.
La Lonely Planet dice che per avventurarsi sul taxi brousse su quel tratto di strada bisogna essere, masochisti e disperati. Ci sono regolarmente incidenti e ogni tanto qualcuno si cappotta dentro un fiume. Questo se prima non si muore soffocati dalla folla.

Sono in un deserto di sabbia, il caldo mi fa avere le visioni, ci sono più di quaranta gradi all'ombra, meno male che io sono al sole ( scusate, ma questa battuta devo scriverla in ogni racconto, non resisto )

Butto la bici per terra e mi fermo. Poi si materializza un veicolo. Sono loro!!
Un sollievo vederli. Un sollievo sapere che mi hanno salvato da una cottura a fuoco lento.
Il taxi brousse é un Pick up della toyota con il cassone chiuso tutto scassato e puzza come il camion della nettezza urbana. Buttano la bici sul tetto sopra le altre e legano il tutto con una corda.
Mi butto sul sedile posteriore, tutti pronti, il tipo mette un cd di musica africana ad un livello sonoro da distruggere tutto l'apparato auricolare orecchi naso e gola. Si parte. Uno di loro sta appeso letteralmente fuori dalla fuori dall'abitacolo, un piede sul pianale e una mano attaccata al porta pacchi, sventola come una bandiera, il guidatore va come un pazzo su dune di sabbia e pietraie fa delle controsterzate da paura e ci manca poche che impenni. Mi sento come il ghiaccio nello shecker di un barman con il parkinson durante una scossa di terremoto. Ma é troppo divertente. I nostri compagni di viaggio sono uno scorfano di dieci chili e una grassona di cento chili circa. Ci é andata bene, perchè altri giorni abbiamo visto taxi caricati di galline, pesci, persone pressate come sardine e maiali enormi legati sul tetto.

Per gli amanti dell'estremo il taxi brousse é un must, un'esperienza che non può mancare nel curriculum di viaggiatore che si rispetti..
Qualcosa che lascia il segno, anche più di uno. Ma soprattutto lascia piaghe. Abbiamo impiegato 24 ore per percorrere 65km.



Madagascar - Il Tipo del taxi Brousse
Un personaggio mezzo uomo mezzo lemure. O meglio 90% primate, 5% uomo, 5% materiale di cattivo odore non precisamente identificato.

Questa simpaticissima creatura vive, si nutre e si riproduce nei taxi brousse. Emette degli sghignazzi a volte coinvolgenti a tratti terrificanti. Per comunicare con gli altri della loro specie o con gli occasionali occupanti del mezzo sbatte le braccia come se gli prendessero le maniche a fuoco e salta come fosse sui carboni ardenti. Se non compreso incomincia a strapparsi i peli del naso e a tirarsi la lingua con le dita dei piedi. Una peluria o fuligine ricopre tutto il corpo. Ha delle orecchie enormi che servono per captare ogni minimo segnale di cedimento del mezzo sia come alettoni stabilizzanti quando viaggia fuoribordo. Grazie agli occhi laterali e a movimento rotatorio indipendente riesce facilmente a tenere sotto controllo tutto il territorio circostante, ma non riesce facilmente a trovare una montatura di occhiali adeguata. Da fermo a piedi uniti e gambe tese con un balzo di sole caviglie riesce saltare sul tetto del veicolo. Nonostante sia magro come un grissino riesce a spezzare il tonno Riomare e a sollevare il fuoristrada con una sola mano. Ha la struttura scheletrica dell'Homo Erectus, ma preferisce camminare a quattrozampe o sulle sole mani. Si mormora abbia attributi sessuali sproporzionati e che grazie alla sua caratteristica posizione a "trepiedi" riesce a puntarsi a terra e restare immobile anche durante i Monsoni o gli uragani che periodicamente si abbattono sulla costa.

Ad ogni sosta pipì zompa giù e con una zampa gonfia tutte le ruote del taxi con una pompa da bicicletta, con l'altra controlla olio, candela e filtri, con la coda si fuma una sigaretta senza filtro.

Qualcuno giura di averlo visto volare, altri dicono sia stata solo una frenata brusca del mezzo a buttarlo giù da un ponte.
Nella stagione del "calore" riesce ad accoppiarsi anche tredici volte al giorno e con qualunque essere di qualunque specie. Tenendo conto che da quelle parti ci sono costantemente 40° gradi vi consiglio di stare attenti.



Durante il viaggio in Madagascar ho conosciuto Pascal, fa l'operaio, si fa un mazzo quanto una capanna sotto un sole da farsi alla brace con un umidità da sauna turca. 1,78 € al giorno, questo é quanto guadagna. Sono capace di lamentarmi del lavoro che faccio, che i clienti non mi lasciano fare quello che vorrei, che le fatture non vengono pagate regolarmente. Lui pianta pali a mani nude per ricostruire dei ponti di legno tracollanti che poi al primo ciclone di merda saranno portati via come stuzzicadenti e via a ricostruire. Eppure sorride. Forse perché pensa che c'è chi vive con molto meno.

Poi vado avanti e incontro una donna che vende della minestra ai bordi del sentiero, guadagna pochi centesimi al giorno quando gli va di culo. Sorride di cuore, forse perché sa che c'è chi vive con niente e lei non sta poi così tanto male. Continuando incontro un mendicante tutto strappato come se avesse litigato con un branco di pittbul e puzzolente come se avesse fatto la doccia con lo scarico dello "spurgo pozzi neri" mi guarda, e sorridendo mi mostra l'ultimo mezzo dente rimasto. Sa che ha ancora l'unico bene prezioso, la vita.
Poi vado avanti e sono nel bel mezzo di una cerimonia funebre. L'uomo ormai senza vita ha un'aria serena e sul viso ha stampato un bel sorriso, sa che tra poco riabbraccerà i suoi cari defunti.
Mi chiedo stamattina, posso essere mai incazzato?



La triste storia della Santa delle Banane.
Mentre pedalavo nell'isola di San Marie ho visto una statua in legno di una donna triste con un casco di banane in testa.http://dl.dropbox.com/u/28973390/Cycling%20in%20Madagascar.pdf

Nessun commento:

Posta un commento